VIAGGIO ALLA SCOPERTA DEGLI AUTOCTONI “MINORI”: IL CARRICANTE E SUA MADRE L’ETNA.
Il suo nome deriva dall’espressione dialettale siciliana “u carricanti”, che sottolinea l’abbondante produzione di questo vitigno, capace di riempire i carri d’uva e che fu scelto e selezionato centinaia di anni fa dai contadini, proprio per le sue caratteristiche resilienti e produttive che garantivano un ottimo risultato.
Il suo areale di elezione è costituito dai versanti nord, est, sud est e sud ovest, dell’Etna; delle vere e proprie macroaree vinicole che presentano al loro interno microaree, le contrade, nelle quali si evidenziano ulteriori differenze.
Ma ci sono anche interessanti realtà nella provincia di Ragusa, una delle pochissime aree che, oltre all’Etna, siano riuscite ad ospitare questo vitigno con buoni risultati.
Negli ultimi venti anni attorno al vulcano, A’ Muntagna come la chiamano da queste parti, è tornato un grande fermento.
Questo gigante nero affacciato sul blu del mar Mediterraneo è un luogo ricco di storia, fascino e leggenda, un territorio straordinario, capace di donare vini di grande eleganza, in un contesto naturale e paesaggistico di rara bellezza.
Ecco perché in questi anni i produttori storici hanno consolidato la tradizione familiare unita ad un nuovo e più moderno approccio alla viticoltura e alla cultura del vino, mentre molti nuovi si sono presentati qui animati da grande passione, lungimiranza e, in alcuni casi, pronti ad accettare una bella e faticosa sfida imprenditoriale.
Un po’ di Storia
È il frate e botanico Francesco Cupani, nella sua opera Hortus Catholicus, (1696) il primo ad accennare alla coltivazione del Catarratto, rintracciandone due tipologie: il Catarratto Bianco Comune e il Catarratto Bianco Lucido.
Recenti studi ampelografici e analisi del DNA hanno rivelato come si tratti di due cloni della stessa varietà. Altri ricerche hanno confermato il Catarratto come progenitore, insieme allo Zibibbo, di un altro vitigno a bacca bianca tipico dell’isola: il Grillo.
Nel 1760 l’archeologo Domenico Sestini cita, in alcuni suoi scritti, delle origini di questo vitigno nato tra le sabbiose terre di Castiglione di Sicilia.
Sempre attraverso Sestini sappiamo che, anticamente, i vini a base di Carricante erano lasciati a riposare sulle fecce all’interno delle botti per indurre la fermentazione malolattica e smussarne la spalla acida.
Una storia ormai secolare testimoniata dalla presenza di vecchie vigne, spesso a piede franco, coltivate con altri vitigni autoctoni del territorio, sulle pendici del vulcano alle altitudini più sfidanti (750-950 metri), dove il Nerello Mascalese fatica a completare la sua maturazione.
Come spesso accade curiosando nelle storie di vite (e di vita) del nostro paese, si scopre che al Carricante veniva dato il ruolo di uva da taglio, assemblato con altri vitigni coltivati sull’Etna, come Catarratto, Minnella Bianca e Inzolia.
Questo ruolo di comprimario vide poi un drammatico epilogo verso la fine dell’800, complice la grande migrazione che dal Sud Italia portò migliaia di famiglie di contadini siciliani a trasferirsi nel più sviluppato ed organizzato Nord industriale.
Palmenti e vigneti furono abbandonati e chi restò conservò quelli a quote più basse, maggiormente estesi, facilmente coltivabili (non solo a vite) e che davano vini più strutturati e quindi migliori sia come alimento che come prodotto commerciale.
Poi arrivò la fillossera e subito dopo la Prima Guerra mondiale.
Ancora fino agli anni ’50, era il più diffuso vitigno a bacca bianca della provincia di Catania, occupando il 10% della superficie ad uva da vino.
Superata la riforma agraria degli anni ‘50, il boom economico dei ’60 e lo scandalo metanolo del 1986, occorre però attendere il nuovo millennio per vedere la rinascita enoica di un territorio e dunque anche del Carricante, uno dei “simboli” della nuova generazione di viticoltori etnei capeggiati da Salvo Foti (che proprio da Milo riparte nel 2000 con gli autoctoni etnei del progetto “I Vigneri”).
Oggi il Carricante entra nella costituzione dell’Etna Bianco DOC (60%) e dell’Etna Bianco Superiore DOC (80%).
Il territorio
Nella zona etnea il territorio è formato dalla commistione di diversi tipi di lava di epoche differenti e da materiali eruttivi recenti quali lapilli, ceneri e sabbie.
Questi terreni vulcanici, a reazione sub acida, sono ricchi soprattutto di ferro, rame e silice, che garantiscono quella sensazione di sapidità avvolgente accompagnata sempre da una piacevole e persistente vena citrica, ovvero il classico “gusto etneo”.
In determinate situazioni, è possibile l’accumulo di sostanze minerali marine (cloruro di sodio) per azione meccanica dovuta al vento.
I suoli antichissimi (pre-miocenici) garantiscono un drenaggio fondamentale ed una maturazione tardiva, mentre le altitudini dei vigneti e le loro pendenze comportano escursioni termiche repentine e considerevoli (d’estate si arriva ad avere un differenziale di 30 gradi tra giorno e notte) contribuendo all’ottenimento di uve il più possibile sane e di qualità.
Versante nord:
È storicamente la zona dei grandi rossi etnei. L’esposizione a nord che di solito costituisce uno svantaggio qui non lo è, grazie alla presenza della valle del fiume Alcantara e dei monti Nebrodi che creano delle condizioni favorevoli per la coltivazione della vite e l’ottenimento di prodotti di alto livello.
Versante est:
È un’area rinomata per la produzione di vini bianchi. Una delle migliori esposizioni alla luce del sole, alle brezze marine e alle abbondanti piogge che si generano quando l’aria umida del mare incontra quella fresca (fredda) che scende dal vulcano.
Versante sud-est:
Qui il territorio è caratterizzato dalla presenza di rilievi montuosi derivanti da coni vulcanici spenti, di conseguenza si hanno suoli molto differenti in rapporto alle percentuali dei vari minerali contenuti nelle diverse eruzioni. L’esposizione a sud rende quest’ area particolarmente soleggiata.
Versante sud-ovest:
Soleggiata come il sud est, è un’area un po’ più riparata dalle influenze del mare con un suolo che deriva da eruzioni di periodi differenti. È forse oggi la zona meno conosciuta dal punto di vista vitivinicolo, ma nello stesso tempo quella che sta fornendo grandi sorprese (vedi Tenuta di Fessina) e, probabilmente, avrà molto da dire nei prossimi anni.
Un binomio vincente dunque: territorio-vitigno, Etna-Carricante.
Secondo alcuni produttori noti e affermati della zona, la straordinaria rappresentatività del territorio, dentro questi vini, sarebbe dovuta a questo vitigno “onesto” e discreto che sapientemente svolge il suo compito di gregario (usando una metafora ciclistica, un moderno Amedeo Barducci) facendo esaltare in modo esemplare, fino ai massimi livelli, l’altra componente di questa incredibile squadra: a’ Muntagna.
Il Vitigno e il Vino
Il Carricante, come già accennato, è un vitigno generoso, la cui abbondante produzione va contenuta con severe potature e controllo del numero delle gemme, per ottenere uve di qualità e con una buona concentrazione aromatica.
E’ particolarmente sensibile alle gelate primaverili e alla siccità, che può provocare in alcuni casi scottatura sui grappoli, se non opportunamente protetti.
Come sistema di allevamento predilige l’Alberello, con potature corte che lascino ampio respiro al grappolo.
Non ha grandi problemi crittogamici a parte la peronospora, che spesso incede nel post primavera a causa delle copiose precipitazioni sul versante est.
La vendemmia si tiene intorno alla prima decade di ottobre ed il risultato porta spesso, oltre alla spiccata acidità fissa, un Ph particolarmente basso e da un notevole contenuto in acido malico, che porta quasi sempre ad un obbligata fermentazione malo lattica.
Dal punto di vista aromatico le uve si rivelano neutre, a scarso tenore di composti terpenici ma con la presenza di un interessante precursore aromatico, il TDN, che conferisce al vino, se opportunamente vinificato e invecchiato, note complesse e caratteri aromatici come l’idrocarburo, il cherosene, la cera, riconducibili all’aroma di Riesling invecchiato.
È possibile dunque produrre un vino di buona struttura e longevità (oltre i 10/15 anni), che ha nell’acidità il suo elemento distintivo, permettendo sia l’affinamento in acciaio, per esaltare freschezza e fragranza ma anche un passaggio in legno (grande) se si preferisce privilegiare le caratteristiche di complessità e morbidezza.
Generalmente Il profilo olfattivo è elegante, con delicati profumi di zagara e fresche note di frutta bianca, mela, agrumi e nuances di anice. I profumi predominanti sono citrici, erbacei e floreali, con un palato verticale e spesso sapido sul finale.
Per la finezza che è in grado di conferire ai vini viene spesso vinificato insieme ad altri vitigni autoctoni come il Catarratto, l’Inzolia, la Minella, o internazionali come lo Chardonnay.
In origine era diffusa, nelle contrade più elevate della zona etnea, l’usanza di vinificarlo insieme al Nerello Mascalese.
Un assaggio di…
Inizio questa scheda con due ringraziamenti: uno particolare a Silvia Maestrelli, imprenditrice del Nord rapita dalle nuvole dell’Etna una 15 anni di fa, regina della Tenuta di Fessina.
In un momento non proprio facile (in bocca a lupo Silvia) ha trovato il tempo e lo spazio per supportarmi nella stesura di questo articolo, fornendomi preziose informazioni e personali commenti.
L’altro a Marco Nicolosi Asmundo (patron ed enologo di Barone di Villagrande) sia per il prezioso tempo dedicatomi a raccontare la presenza scenografica e pervasiva del territorio in questi vini ma soprattutto per avermi trasmesso un mood molto positivo sul profondo senso di appartenenza e sulla voglia di fare squadra (sistema) che contraddistingue il gruppo dei produttori dell’Etna (un fattore strategico per posizionarsi in maniera duratura sul mercato).
Etna Bianco A’ Puddara 2018 – Azienda Tenuta di Fessina 12,5%
Siamo a Biancavilla, sul versante sud ovest, dove erano in pochi a scommettere un euro fino a 15 anni fa, in una zona fino a quel momento in “ombra” ma che si sta rivelando dal grandissimo potenziale.
L’affinamento e la vinificazione avvengono interamente in botte grande da 35hl di Rovere Francese, 8 mesi sulle fecce fini (un anno complessivo nel ciclo di produzione) più un altro anno in bottiglia.
Questo processo permette al vino di sviluppare una notevole freschezza, una corroborante acidità ben bilanciata da una fragranza delicata e da una struttura che rende la beva molto piacevole e succosa.
Un perfetto equilibrio tra gli elementi connaturanti del varietale e fenomeni come la malolattica e le precipitazioni tartariche.
Il naso tende subito all’agrumato, alla scorza di mandarancio, papaia, alla grafite con un cenno di idrocarburo e di cera.
Il sorso invece è ricco ma lineare senza scompensi, lime e nespola sono molto presenti per poi lasciare il passo ad una punta di kerosene in evoluzione, di fumé, con un finale lungo, iodato ed estremamente salino.
È un vino rigoroso, coriaceo e delineato come A’ Muntagna che si staglia nella notte. È un vino che richiama l’identità Etna, da Riposto fino alla cima del versante Sud Ovest.
Etna Bianco Superiore 2018 Azienda Barone di Villagrande 12,5%
Siamo di fronte alla storia del vino etneo, con una delle più antiche aziende che coltiva vigneti sul versante principe di queste terre (est, verso lo Ionio) da ormai dieci generazioni.
Carricante 90% più un 10% di altri vitigni etnei (Catarratto e Minnella). La vinificazione è rigorosamente in acciaio e l’imbottigliamento avviene a dieci mesi dalla vendemmia. Il lavoro in cantina tende ad essere il meno invasivo possibile.
Il naso si apre su note di idrocarburo (il ricordo va indubbiamente agli Auslese pari età della Mosella).
Evviva i bianchi che vengono immessi in commercio con almeno due anni di vita!
Si percepisce poi la mineralità scura (grafite, polvere da sparo) ingentilita da note floreali (ginestra, zagara) e dagli agrumi (pompelmo e arancio giallo) con sbuffi di acacia e sambuco.
Il sorso è di una freschezza diretta, avvolgente che ben si fonde con una sapidità marina davvero gustosa; sempre elegante, equilibrato e persistente, sostenuto ed esaltato dalla tipica mineralità etnea scura, mai chiusa e sempre esplosiva.
Il finale è lungo e fa intravedere una bella evoluzione in bottiglia per un vino davvero elegante, piacevole e con una sua identità chiara ma soprattutto come dice Marco Nicolosi “un vino Etneo”.
Carjcanti 2017 – Azienda Gulfi 12,5%
Come dicevo in premessa non solo Etna per questo vitigno autoctono.
Un’intuizione, una sfida e una bella e duratura collaborazione tra Gulfi (nota e dinamiche realtà produttiva del ragusano) e Salvo Foti, hanno permesso di portare le radici del Carricante, dalle ceneri e lapilli dell’Etna alle colline calcaree degli Iblei, nella zona sud-orientale dell’isola, nei pressi di Chiaramonte (RG).
Da qui poi l’incontro con il leggendario Albanello, un’antica varietà a bacca bianca storicamente presente nell’area di Siracusa e Ragusa che una passione folle (tanto per cambiare) ha salvato dall’oblio.
Il vino Carjcanti di Gulfi nasce dalle uve della Vigna Campo, coltivata nello splendido territorio della Val Canzeria, a un’altitudine di circa 400-500 metri sul livello del mare su terreno calcareo argilloso.
Le uve vendemmiate nella seconda metà di settembre, vengono vinificate in acciaio ed in botti da 225 e 500 litri. L’affinamento si svolge sia in acciaio sia in legno per almeno un anno, e per diversi mesi in bottiglia prima della commercializzazione.
All’olfatto esprime profumi di zagara, agrumi, aromi di frutta a polpa gialla, frutta tropicale, sfumature di vaniglia e di erbe aromatiche della macchia mediterranea per un vino bianco che dimostra subito una spiccata personalità.
Il sorso esprime una buona struttura e complessità, è lungo, appagante, dagli aromi maturi, sfaccettati e con una gustosa matrice fresco-sapida.
La chiusura è piacevolmente vanigliata, con una persistenza notevole che richiama i sentori fruttati.
Mancano i toni minerali tipici della Muntagna ma senza dubbio siamo davanti ad un’etichetta da tenere in considerazione quando si vuole scoprire un altro volto del Carricante.